L’espressione digital transformation è una delle parole chiave del 2018.
Con il termine digital transformation (in italiano trasformazione digitale) si indica un insieme di cambiamenti prevalentemente tecnologici, culturali, organizzativi, sociali, creativi e manageriali.
La presenza del termine digitale rischia però di tenere lontane alcune aziende (soprattutto tra le più piccole), più restie ai cambiamenti, dal complesso processo in atto.
Tante persone fino ad oggi sono state abituate alla dicotomia reale / digitale. C’è la vendita e poi c’è la vendita online. C’è il marketing e poi c’è il marketing digitale. Arrivati al 2018, ha ancora senso ragionare così?
Nella vita di tutti i giorni questa distinzione sta rapidamente perdendo significato, grazie alla diffusione degli smartphone e delle connessioni a internet in mobilità : quante volte guardiamo lo smartphone ogni giorno? Quanto tempo ci passiamo?
Un potenziale cliente abituato all’uso dello smartphone non diventa all’improvviso analogico nel momento in cui entra in un negozio fisico, ma continua a vivere il rapporto con il suo smartphone: può volerne sapere di più su un prodotto, può cercare su internet se ci sono delle buone recensioni, può voler scoprire se l’offerta che sta guardando è davvero interessante o meno e molto altro.
La vera trasformazione in atto riguarda il quotidiano delle persone, il loro stesso modo di vivere, divertirsi, lavorare, relazionarsi.
In tutto questo, il “digitale†è ciò che che sta accelerando questa trasformazione, momento dopo momento, esperienza dopo esperienza.
Digitale è davvero un termine capestro il cui sottostante sono davvero tantissime cose diverse:
- smartphone sempre più potenti (abbiamo in tasca l’equivalente dei supercomputer di pochi anni fa),
- connessioni sempre più veloci e accessibili (sia come copertura che come costo),
- infrastrutture sempre più utili (pensiamo alla rete GPS o la nuovissima Galileo),
- sensori di ogni genere in grado di dialogare tra loro (internet of things o meglio, everything, come sottolinea Cisco).
Tutto questo ha reso possibili nuove dinamiche, che impattano profondamente il nostro quotidiano, altrimenti impensabili: pensiamo a servizi di car sharing come Car2Go e simili senza GPS e internet in tasca praticamente ovunque.
Ancora, pensiamo alla facilità , velocità ed economicità di circolazione delle informazioni: chiunque se vuole condividere un pensiero in diretta può farlo gratis usando i servizi di Facebook, raggiungendo potenzialmente milioni di persone. Anche solo pochi anni fa quante persone potevano farlo e soprattutto, quali erano i costi?
Possiamo continuare facendo riferimento ai cambiamenti legati allo sviluppo dell’intelligenza artificiale e del machine learning (per chi non ha ancora messo alla prova gli esperimenti di Google, ecco il link per farlo!), all’uso di registri crittografati come nel caso della blockchain ed altre tecnologie dirompenti (in inglese disruptive, da qui l’espressione “disruptive technologiesâ€).
Quanti di noi si stanno abituando a dialogare con i computer, che nel frattempo hanno imparato a trascrivere il parlato meglio di noi esseri umani e stanno migliorando rapidamente le loro capacità di comprensione? Entro il 2020 il 50% delle ricerche sui motori di ricerca saranno vocali (nel 2016 erano il 20%).
In un numero crescente di casi, l’interazione con il servizio di assistenza delle aziende passa per una prima linea di chatbot, sistemi automatici intelligenti in grado di aiutare le persone a trovare le risposte alle loro domande senza dover impegnare il personale aziendale.
Per chi fa impresa gestire questi cambiamenti può fare la differenza tra il successo o il fallimento: a parità di soddisfazione del cliente, sarà più competitiva l’impresa che per rispondere a migliaia di richieste ogni giorno adotta sistemi informativi evoluti in grado di essere operativi 24 ore su 24 oppure quella che impiega decine di persone, con tutti i costi ed i limiti associati?
Riconoscere i cambiamenti in atto e portarli in azienda non è solo una questione di “trasposizione dall’analogico al digitale dei processiâ€: prendiamo ad esempio un’azienda che, in occasione di una fiera dedicata ad un pubblico business, raccoglie i dati delle persone passate allo stand per poterle contattare.
Il primo passo del processo di digitalizzazione è quello di passare dalla raccolta cartacea ad un equivalente digitale, ma se si pensa di aver finito qui, si è molto lontani dall’aver colto il potenziale del cambiamento in atto.
Ad esempio, in molti formulari si richiede l’indirizzo di una persona, con via, città , CAP, Paese: nell’equivalente digitale si può migliorare l’interfaccia (User Interface in inglese, con acronimo UI) utilizzata per inserire queste informazioni, ma chi vuole andare oltre può sfruttare le informazioni esistenti per ridurre il numero di informazioni da inserire.
Pensiamo, sempre nel contesto di quella fiera, ad un formulario dove l’utente inizia inserendo il proprio indirizzo di posta elettronica aziendale: dall’indirizzo si può ricavare il nome ed il sito dell’azienda, oltre che tipicamente il nome e cognome della persona. Si può quindi precompilare il nome dell’azienda e tentativamente anche il nome e cognome della persona. Poi, accedendo in automatico al sito aziendale, si può ricavare l’indirizzo, la partita IVA ed altri dati utili, da presentare a chi sta compilando il formulario per una verifica e conferma.
Con questi accorgimenti, come cambia l’esperienza (User Experience in inglese, con acronimo UX) di chi sta compilando il formulario?
Il processo di miglioramento dell’esperienza di contatto grazie al digitale può continuare: sempre nel contesto di fiera, un editore potrebbe inviare subito dopo la registrazione uno sconto da utilizzare per l’acquisto online di libri scaricabili in digitale o ritirabili immediatamente in fiera, con la possibilità di pagare sia online che direttamente in loco. Â
Una corretta digitalizzazione dei processi, che non sia una mera trasposizione dell’esperienza analogica, offre alle aziende che si sforzano maggiormente in questo senso una miglior percezione di valore sia al suo interno (tra i propri dipendenti e collaboratori) che al suo esterno (nel rapporto con clienti, fornitori ed altri interlocutori).
La qualità dell’esperienza di relazione migliora non solo al migliorare delle esperienze di contatto ma anche grazie alla riduzione delle stesse al minimo indispensabile.
Pensiamo ad un’azienda che vende vestiti online: la gestione dei resi è un aspetto importante di questo tipo di vendita in cui sono molti i resi legati a problemi di taglie, e offrire la miglior esperienza di reso possibile è cruciale per soddisfare al meglio i clienti.
Pensiamo poi ad un’altra azienda, sempre impegnata nella vendita di vestiti online: al contrario della prima, ha investito su un’applicazione che sfrutta i numerosi sensori presenti negli smartphone per permettere ai suoi clienti di raccogliere e comunicare con estrema facilità i dati rilevanti per la scelta della taglia dei vestiti in vendita, arrivando praticamente ad azzerare i casi di reso per errore di taglia.
Questo esempio ci da’ il senso del potenziale di una corretta adozione delle nuove tecnologie: per quanto ottimizzata, un’esperienza di reso impegna tempo e risorse sia del cliente che dell’azienda; far sì che non la si debba vivere, liberando tempo e risorse per tutti, è un passo nella giusta direzione.
Di possibili passi simili ce ne sono già oggi davvero tantissimi e l’accelerazione esponenziale dello sviluppo tecnologico prevista per i prossimi anni non farà altro che crearne di più.
Compito di chi fa impresa è di dotarsi degli strumenti per riuscire a vedere più lontano e investire nella giusta direzione. Â
Citando un adagio di Henry Ford (probabilmente mai pronunciato, ma decisamente calzante):  “Se avessi chiesto ai miei clienti che cosa volevano, probabilmente mi avrebbero risposto: un cavallo più veloceâ€.